3. La struttura teorica della psicanalisi e i residui dell'astrazione |
Esaminando nei primi capitoli della Traumdeutung il modo in cui la psicanalisi affronta i fatti e in quale spirito essa concepisce il loro studio, abbiamo scoperto, fra l'atteggiamento di Freud e quello degli psicologi classici, un antagonismo radicale che contrappone fra loro due forme irriducibili della psicologia, la psicologia concreta e la psicologia astratta. Infatti il modo stesso in cui viene posto il problema del sogno implica una definizione del fatto psicologico che trasferisce l'interesse per le entità spirituali alla vita drammatica dell'individuo, ed il metodo, quale esso è concepito da Freud, abbandona l'investigazione della realtà interiore per occuparsi esclusivamente dell'analisi del «dramma». Grazie a questo atteggiamento concreto, Freud giunge a fare un certo numero di scoperte che sono tanto più sbalorditive se si pensa che esse sono rimaste inaccessibili alla psicologia classica: tali scoperte esigono in modo imperioso una spiegazione. Ci si potrebbe allora aspettare di trovare in Freud delle spiegazioni che si adattino a quella psicologia concreta di cui egli sarebbe stato il fondatore; di ritrovare, insomma, nelle spiegazioni, quell'atteggiamento concreto che ha presieduto alle scoperte. Questa aspettativa, d'altronde, è tanto più legittima quanto meno si vede come le nozioni della psicologia astratta potrebbero adattarsi a dei fatti la cui sola scoperta presuppone già la negazione dello spirito nel quale tali nozioni sono state elaborate. Ora, le speculazioni psicanalitiche deludono questa attesa. Infatti tutto si svolge come se Freud volesse, con le sue spiegazioni, rifare a ritroso tutto il cammino che egli ha percorso sotto l'ispirazione concreta della psicanalisi, e volesse, in qualche modo, farsi perdonare le sue scoperte concrete col dare di esse una spiegazione secondo il gusto della psicologia classica. L'antagonismo fondamentale fra le due forme della psicologia si ritrova allora all'interno della stessa psicanalisi, la quale appare allora per così dire dilaniata fra la psicologia antica e la psicologia nuova. Si capisce allora facilmente come sia essenziale, ricercando l'insegnamento psicologico che implicito nella psicanalisi, insistere su questo punto. Non basta, infatti, constatare la presenza nella psicanalisi di una ispirazione concreta; è altresì necessario far vedere fin dove essa arriva, come e perché la sua influenza decade una volta che si affrontino le spiegazioni. Ciò è necessario, non solo per vedere come la vera critica della psicanalisi consista nel giudicarla in nome di quella psicologia concreta che viene da essa stessa inaugurata, e non attraverso questa o quella tendenza di moda della psicologia ufficiale, ma anche perché questo acuto conflitto che esiste fra l'atteggiamento concreto e l'atteggiamento astratto all'interno della psicanalisi ci permetterà di precisare e di dare un ulteriore sviluppo alle affermazioni dei capitoli precedenti. 1. Il sogno è l'adempimento di un desiderio. La formula è ancora generale e Freud non si ferma a questo enunciato. Egli non ci lascerà certo credere che si tratti di un desiderio qualsiasi; al contrario, tenta di dimostrare come la maggior parte dei desideri che vengono esauditi nel sogno abbiano qualcosa in comune: sono dei desideri infantili. «... Scopriamo con sorpresa che il bambino con i suoi impulsi continuava a vivere nei sogni» (p. 209). Ma, questa volta, sembra chiaramente che se Freud non lascia indeterminato il termine desiderio, e se gli dà appunto quella determinazione che abbiamo visto, sembra, dicevo, che il «fermento dialettico» non lo si trovi più semplicemente nelle esigenze della psicologia concreta, dal momento che, se la sua prima formula a questo proposito è soddisfacente, si trova all'interno di necessità «induttive». Il desiderio che il racconto permette di ricostruire è legato a un ricordo infantile o ad un impulso infantile: ciò sembra risultare in modo puro e semplice dall'analisi. Non si tratta più di una questione di principio, ma di una questione di fatto. È per questo fatto che, quando Freud ci dice: «Scopriamo con sorpresa», non è il caso di pensare che questo sia un semplice modo di dire, ma si deve credere, al contrario, che egli sia perfettamente sincero. Concretamente, la questione si presenta nel seguente modo: la distinzione fra il contenuto manifesto ed il contenuto latente permette a Freud di esaminare le caratteristiche della memoria del sogno, caratteristiche «tanto spesso citate, ma mai spiegate» (p.184). Tali caratteristiche sono: 1) La preferenza accordata dal sogno a ciò che è recente ed insignificante; 2) L'intervento frequente nel sogno di ricordi infantili, dei quali non si dispone durante la veglia (cfr. pp. 184-185). Ora, l'intervento di impressioni recenti, cioè la presenza nel sogno di avvenimenti apparentemente insignificanti del giorno precedente, non è, come molti credono, la spiegazione stessa del sogno, bensì un fatto che deve essere spiegato. Infatti, spiegare il sogno attraverso la forza di persistenza dei ricordi recenti non ci offre la ragione di quella precisa trama che viene realizzata nel sogno e non ci insegna nulla della vita individuale di quel soggetto il cui sogno noi vogliamo spiegare. Freud si accinge a spiegare la caratteristica in questione mediante lo spostamento. Il contenuto manifesto non fa altro che rappresentare il contenuto latente, ed «il processo psicologico mediante il quale, secondo la nostra teoria, le esperienze indifferenti prendono il posto di quelle psichicamente rilevanti, non può non suscitare sospetto e meraviglia. In un capitolo successivo, sarà nostro compito rendere più comprensibili le caratteristiche di questa operazione apparentemente irrazionale. Per ora dobbiamo solo occuparci degli effetti di un processo, del quale sono arrivato a presumere l'esistenza per il suo ricorrere ripetutamente e regolarmente nella analisi dei sogni. Sembrerebbe che si verifichi una specie di "spostamento" di enfasi psichica ... in tal modo, idee che inizialmente avevano una debole carica di intensità acquistano carica da idee originariamente molto intense ed infine ottengono abbastanza energia da penetrare nella coscienza» (pp. 196- 197). Ma lo spostamento è solo uno strumento nella deformazione del sogno. «Perché allora ho sognato effettivamente qualcosa di indifferente, anche se lo spunto del sogno era un'impressione che mi aveva giustamente eccitato durante il giorno? La spiegazione più ovvia è senza dubbio che ci troviamo ancora una volta di fronte al fenomeno della deformazione del sogno ...» (pp. 194- 195). La stessa cosa vale per la condensazione, che Freud definisce poco più oltre (p. 198). Ma, come abbiamo detto poco fa, ci troviamo per ora nel campo dell'induzione. Abbiamo fatto conoscenza con lo schema generale della teoria, ora si tratta solo di arricchirla e di articolarla a seconda delle necessità empiriche. L'osservazione che abbiamo fatto a proposito del capitolo V varrà anche per tutti i capitoli, fino a quello sulla «Psicologia dei processi del sogno». Si tratterà d'ora in poi di spiegare tutti i fatti in conformità con le concezioni che ci vengono insegnate nei primi quattro capitoli, modellando in modo conveniente le idee sui fatti. Ora, se il modo in cui Freud articolerà il suo pensiero è dettato da necessità «induttive», queste ultime non possono sempre costituire altro che il motivo, ma non spiegano qual'è la forma precisa delle nozioni che Freud introduce; tali nozioni si possono spiegare al contrario mediante la concezione che Freud si è fatta dei rapporti esistenti fra il contenuto manifesto ed il contenuto latente e della forma di esistenza psicologica che conviene a quest'ultimo: queste idee costituiranno, a partire da ora, la chiave di volta della Traumdeutung. Se non è possibile capire i primi quattro capitoli senza riconoscere le esigenze della psicologia concreta, il seguito della Traumdeutung non può esser capito se non attraverso le idee che Freud si fa sul contenuto latente ed il modo in cui bisogna interpretare la sua esistenza. È dunque su questo ultimo punto che noi dobbiamo insistere. Vedremo allora come Freud non abbia saputo sbarazzarsi dei procedimenti costitutivi della psicologia classica. Soltanto, dal momento che questi procedimenti si trovano in aperto contrasto con l'ispirazione concreta della psicanalisi, proprio questo contrasto permette di riconoscerli e di aggirarli. La psicanalisi ci fornirà allora un insegnamento che, pur essendo negativo, è cionondimeno assai prezioso: impareremo a riconoscere l'essenza astratta di certe nozioni che, a tutta prima, sembrerebbero derivare essenzialmente dall'esperienza stessa. Freud fa notare come non sia necessario che l'analisi sia integralmente una ricostruzione. «C'è una conclusione vera da trarre - egli dice (p. 511) - da queste obiezioni, cioè che non è necessario presumere che tutte le associazioni che vengono in mente durante il lavoro di interpretazione erano presenti nel lavoro onirico durante la notte. È vero che nel compiere l'interpretazione da svegli seguiamo un percorso che riporta dagli elementi del sogno ai pensieri del sogno, e che il lavoro onirico l'ha percorso in senso inverso, ma è molto improbabile che queste vie si possano percorrere in entrambe le direzioni. Sembra piuttosto che durante il giorno percorriamo vie sotterranee lungo nuove associazioni di pensiero e che queste vie abbiano un contatto con i pensieri intermedi e con i pensieri del sogno ora in un punto ora in un altro». Qualcosa del «materiale associativo» è stato tuttavia pensato effettivamente, ma che cosa? ed in quale modo? Ecco il problema. Freud risponde: l'atto che consiste nel pensare il contenuto latente è un atto psicologico; ma è un atto psicologico privo di coscienza La distinzione fra contenuto latente e contenuto manifesto ci porta all'ipotesi dell'inconscio. Ecco press'a poco lo schema della risposta freudiana. Le «libere associazioni» o il racconto offrono un materiale notevole sotto due punti di vista. Questo materiale è innanzitutto sproporzionato in relazione al contenuto manifesto; d'altra parte, esso è rivelatore: permette di insegnare al soggetto cose che egli stesso ignora e che tuttavia appartengono alla sua vita intima. Dal momento che è il soggetto ad offrire il contenuto latente, ricco di particolari e inatteso nel suo significato, bisogna per così dire restituirglielo. Allora Freud rovescia l'ordine temporale: dal racconto che risulta dall'analisi egli deduce il pensiero del sogno, ed in seguito concepisce quest'ultimo come anteriore al contenuto manifesto, anteriore al sogno stesso. E proprio perché i pensieri del sogno non appartengono ai pensieri disponibili del soggetto, essi non hanno un'esistenza analoga al modo di essere dei pensieri disponibili, ma un modo di essere diverso: la forma della loro esistenza è inconscia. È così che appare nella Traumdeutung la nozione teorica fondamentale della psicanalisi, la nozione di inconscio. «Ciò che è represso continua ad esistere nelle persone normali e in quelle anormali e rimane capace di attività psichiche» (p. 580) e «gli stessi sogni sono una manifestazione di questo materiale represso; ciò è valido teoricamente in tutti i casi e si può osservare empiricamente almeno in un gran numero di casi» (ibid.). Più in generale, «Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. L'interpretazione dei sogni è la strada reale verso la conoscenza delle attività inconscie della mente» (ibid.)1. È questa concezione realista che si trova alla base di tutte le speculazioni di Freud. È essa a render necessaria innanzitutto l'introduzione della nozione di deformazione. Infatti, se il contenuto latente rappresenta una realtà psicologica anteriore al contenuto manifesto, anteriore di diritto e di fatto, solo un lavoro di deformazione può spiegare lo scarto che esiste fra i due contenuti. Ma una volta che si sia ammessa la deformazione per spiegare lo scarto, bisogna approfondire la questione e spiegare l'andamento preciso di tale scarto. Ora, esiste un primo fatto, e cioè che lo scarto si basa sul valore psichico degli elementi. Un elemento il cui significato convenzionale sia molto piccolo può avere nel sogno un significato psicologico di un'intensità assai grande. Questo è un fatto, e noi abbiamo visto che Freud introduce la nozione di spostamento. D'altra parte, lo scarto, oltre che essere qualitativo, è nello stesso tempo quantitativo: il materiale associativo è estremamente considerevole, mentre il racconto del contenuto manifesto è molto corto. Ciò significa che il sogno «condensa». Ma il sogno condensa anche in un altro senso: «il lavoro onirico si trova quasi nella necessità di riunire tutte le fonti che hanno agito come stimoli del sogno, in una unità» (p. 199) ... «Essa [questa necessità] si presenta come una parte di un altro processo primario: la condensazione». Più in generale, non resta da far altro che elevare sempre a principio i diversi aspetti di tale scarto per giungere a scoprire delle nozioni nuove, e questo è ciò che fa Freud. Ma la distinzione fra contenuto manifesto e contenuto latente ed il modo in cui Freud la concepisce richiedono ancora degli approfondimenti in un'altra direzione: sulla causa della deformazione. Si tratta di scoprire la causa del «travestimento durante il sogno». «Perché i sogni di contenuto indifferente, che si rivelano poi adempimenti di desideri, non esprimono apertamente il loro significato? Prendiamo, per esempio, il sogno dell'iniezione di Irma, del quale ho trattato così ampiamente. Non era assolutamente un sogno di natura spiacevole e l'interpretazione lo ha mostrato come un esempio evidente di soddisfazione di un desiderio. Ma poi, perché aveva bisogno di un'interpretazione? Perché non esprimeva direttamente il suo significato? A prima vista il sogno dell'iniezione di Irma non dava l'impressione di rappresentare un desiderio del sognatore soddisfatto. I miei lettori non avranno avuto questa impressione e neanche io, prima di concludere l'analisi. Chiamiamo questo comportamento dei sogni, che ha tanto bisogno di spiegazione, "il fenomeno della deformazione dei sogni". Quindi il nostro secondo problema è: qual'è l'origine di tale deformazione?» (p. 160). A dir la verità, il modo stesso in cui è posta questa domanda non ci orienta necessariamente in direzione della psicologia concreta, dal momento che, come fa notare Freud, è ugualmente possibile una risposta astratta: «Ci possono subito venire in mente molte possibili soluzioni: come, per esempio, che durante il sonno esiste una certa incapacità ad esprimere direttamente i pensieri del sogno» (p. 160). Questa incapacità sarebbe dunque quella che spiega la trama del sogno, e quest'ultimo non sarebbe allora altro che una sorta di balbettamento. Freud, contro questa teoria, fa appello all'esperienza: «Ma — egli continua — l'analisi di determinati sogni ci spinge a spiegare diversamente questa deformazione dei sogni». Il «sogno dello zio» dimostrerà, infatti, che la deformazione vuole tener nascosti dei pensieri penosi. Ma, di fatto, se Freud combatte la teoria da lui segnalata, non lo fa soltanto per ragioni «sperimentali». Il fatto stesso che, senza soffermarsi sulla teoria citata, egli richieda dai fatti un'altra spiegazione, dimostra chiaramente come egli senta l'astrazione della teoria in questione. Se noi adottassimo tale teoria, il sogno diventerebbe nuovamente qualche cosa di generale, e la spiegazione non potrà riguardare quel particolare sogno di cui si sta parlando, né l'individuo particolare che è l'autore del sogno. La risposta che Freud darà al problema permetterà, al contrario, se non di soddisfare alle esigenze della psicologia concreta, per lo meno di avvicinarsi ad esse. D'altra parte, la teoria che Freud respinge è sterile, arresta immediatamente la ricerca. Una volta che si è detto che il sogno è un balbettamento, non si potrà più far altro, a proposito di qualsiasi sogno e di qualsiasi elemento del sogno, che ripetere quell'affermazione generale e tutt'al più stupirsi per la varietà e per tutti i capricci di quel balbettamento. Il modo in cui Freud risponde alla questione richiede nuove manovre d'interpretazione e lo costringerà ad elaborare delle ipotesi riguardanti la struttura dell'«apparato psichico». Ecco perché egli può dire: «Queste considerazioni possono farci credere che dall'interpretazione dei sogni potremo trarre conclusioni riguardo la struttura del nostro apparato mentale, che abbiamo cercato invano nella filosofia» (p. 168). Freud intraprende dunque dei lavori nozionali che egli persegue parallelamente alle manovre «induttive» che abbiamo segnalato, e che saranno riprese in seguito in modo sistematico nella Psicologia dei processi del sogno. 2. Ma, se si considera l'articolazione della risposta che Freud dà al problema della deformazione, dobbiamo constatare un certo suo ritorno alla psicologia astratta. «... La deformazione era in questo caso voluta ed era un mezzo di dissimulazione» (p. 165). Un insieme di pensieri vogliono esprimersi nel sogno, ma invece di apparire quali essi sono, appaiono mascherati. Si può nello stesso tempo constatare che per il soggetto è penoso il pensiero del sogno, che egli ha la tendenza a sottrarsi alla responsabilità che gli incombe per il fatto stesso di avere sognato. È quest'ultima constatazione quella che permette a Freud di spiegare la deformazione. Dal momento che il contenuto latente è reale, e, d'altra parte, ciò che è cosciente non è altro che il contenuto latente mascherato, è necessario ammettere che la forma di esistenza del contenuto latente è «inconscia», e che alle rappresentazioni viene concessa la coscienza soltanto a certe condizioni. Per fissare le idee, Freud introduce un'espressione presa a prestito dalla vita politica: una censura vigila all'ingresso della coscienza. Freud coglie molto bene la dialettica del suo atteggiamento: dato che il contenuto latente è psicologicamente reale senza essere cosciente, non solo non si potranno più definire i fatti psicologici attraverso la coscienza, ma inoltre, dato il fatto della censura, la coscienza coglierà il fatto psicologico soltanto in modo deformato, e diventerà allora possibile l'equiparazione della coscienza con un organo sensoriale, equiparazione valida a tutti gli effetti. «Noi consideriamo il processo del divenire cosciente — dice Freud — come uno specifico atto psichico, separato e indipendente dal processo di formazione di una rappresentazione o di una idea e consideriamo la coscienza come un organo sensorio che percepisce degli elementi provenienti da un'altra zona» (pp. 167-168). Freud afferma più oltre in modo molto esplicito la relatività della percezione compiuta dalla coscienza. «L'inconscio è la vera realtà psichica; nella sua intima essenza ci è sconosciuto quanto la realtà del mondo esterno, e la coscienza ce lo presenta in modo così incompleto come i nostri organi sensori ci comunicano il mondo esterno» (p. 584). In breve, la coscienza possiede come una specie di energia specifica. Questa teoria specifica non è altro che la censura. Quando si parla della relatività della conoscenza sensibile, si vogliono sottolineare due cose: prima di tutto il fatto che, dato il numero e la scelta degli organi sensoriali, la nostra conoscenza del mondo esterno è essenzialmente selettiva e, per questo stesso motivo, incompleta; in secondo luogo, vista l'«energia specifica» dei nervi, la sensazione fa subire ai dati dell'esperienza una deformazione qualitativa È di primaria importanza far notare come, per il suo punto di partenza, l'affermazione della relatività della percezione ad opera della coscienza abbia, in Freud, un orientamento tutto particolare. Esistono dei filosofi che sostengono la relatività dell'esperienza interiore: le idee che Kant ha in proposito sono ben note. Ma, con Kant, ci troviamo nell'ambito della teoria della conoscenza. Ora, la causa della relatività ha innanzitutto, per Freud, qualcosa di morale e persino di sociologico. Se consideriamo il pensiero di Freud sulla questione al suo punto di partenza, scopriamo che coscienza significa responsabilità. Il soggetto si sente responsabile del contenuto della propria coscienza: ogni fatto psicologico cosciente è un atto di cui il soggetto deve accettare la responsabilità. Questo è ciò che spiega la censura e la rimozione, ed ecco la causa iniziale della relatività della coscienza. Esistono, infatti, dei pensieri che sono sgraditi al soggetto: egli li ricaccia indietro, li rimuove, cioè si rifiuta di prenderne coscienza. Ora, non è che sia ingrato in se stesso l'atto di pensare; un pensiero rimosso non è sgradito neppure nella semplice esecuzione dell'atto che consiste nel produrlo, dal momento che un pensiero rimosso può sempre essere pensato in se stesso, ma a condizione che il soggetto non sia costretto a riferirlo a se stesso; e diventa sgradito soltanto quando il soggetto è costretto a riferirlo a se stesso, quando cioè appare come l'espressione di un modo d'essere che implica per lui l'indegnità, la decadenza, perché, per esempio, è contrario all'«ideale dell'Io». È incontestabile che troviamo qui il germe di una concezione concreta della rimozione e di tutti gli atteggiamenti che essa implica, o, per lo meno, restiamo su di un piano in cui la rimozione può avere un significato concreto. Se ci esprimiamo nel modo come abbiamo fatto, le nostre affermazioni, per quanto imprecise, si riferiscono agli atti di un soggetto particolare, e noi ci troviamo in presenza non di semplici rappresentazioni, ma delle forme stesse nelle quali il soggetto vorrebbe inserirsi; in presenza cioè di un conflitto, non fra rappresentazioni, ma fra i modi di essere, di cui gli uni sono reali, ma condannati, gli altri desiderati, ma irrealizzabili. La «coscienza», quale noi ora la intendiamo, è una cosa del tutto diversa da una forma dell'esperienza, ma è essenzialmente un atto di riconoscimento, di responsabilità, persino di identificazione — in breve, è quell'aspetto delle azioni individuali grazie al quale diventa evidente il loro collegamento con l'«io» e diventa effettivo il loro riconoscimento. Se Freud avesse orientato in questa direzione gli sviluppi della propria ricerca, si sarebbe accorto che tutta la «dinamica» di quelle rappresentazioni che presuppongono censura, rimozione e resistenza si ricollega alla stessa conoscenza che il soggetto può avere dei propri comportamenti, e così la limitazione della coscienza non avrebbe significato altro che la negazione dell'onniscienza del soggetto riguardo a se stesso, negazione che implica già il metodo psicanalitico. Stando così le cose, Freud non avrebbe avuto bisogno di concepire, da un lato, un mondo di entità psichiche inconscie, e, dall'altro, di fare della coscienza un organo di percezione. Ma Freud non si è fermato a queste possibilità concrete, ed applica immediatamente alla coscienza lo schema classico della relatività della percezione. E quando egli studierà il problema in modo sistematico, ci troveremo soltanto più di fronte all'astratto svolgimento di quello schema. (È vero che nel recente sviluppo delle sue teorie, Freud è ritornato sul problema della rimozione, e troviamo allora degli sviluppi che si avvicinano alle esigenze che abbiamo appena espresso. Ma tali sviluppi non fanno altro che accentuare il conflitto fra l'astrazione e la concretezza. Cfr. capitolo 5, par. 3, p. 206 s.) Bisogna ancora aggiungere che Freud si esprime in termini di «rappresentazioni», di «stati effettivi», ecc., ed allora tale linguaggio lo trascina del tutto nell'area d'influenza della psicologia classica. Ciò è particolarmente evidente nella Psicologia dei processi del sogno. L'analisi di questo capitolo, nel quale vedremo Freud per così dire dilaniato fra la psicologia astratta e la psicologia concreta, sarà per noi istruttiva al massimo grado. 3. È dalla sezione (B) (pp. 511-526) che dobbiamo cominciare. La sezione (A), in cui Freud studia l'oblio dei sogni (pp. 492-511), riveste un grandissimo interesse tecnico, ma noi non potremmo far altro che ripetere ciò che abbiamo già detto a proposito della concretezza dell'ispirazione psicanalitica, e denunciare, come abbiamo fatto più sopra, la sua illusione a proposito del meccanismo del racconto. Con la sezione (B) penetriamo nel cuore stesso della speculazione freudiana. Soltanto qui, d'altronde, il problema viene posto con tutta la chiarezza necessaria. «Riassumiamo i principali risultati della nostra inchiesta ottenuti finora. I sogni sono atti psichici di valore pari a qualsiasi altro atto; la loro forza motrice è in ogni caso un desiderio che cerca realizzazione; il fatto che essi non siano riconoscibili come desideri e le loro numerose particolarità e assurdità sono dovute all'influenza della censura psichica, cui sono sottoposti durante il processo di formazione; a parte la necessità di eludere la censura, altri fattori che contribuiscono alla loro formazione sono la necessità di condensazione del loro materiale psichico, il riguardo per la possibilità di essere rappresentati in immagini sensorie e, anche se non sempre, l'esigenza che la struttura del sogno abbia un'apparenza razionale e intelligibile. Ognuna di queste asserzioni apre la via a nuovi postulati psicologici e speculazioni; la relazione reciproca tra il desiderio che è la forza motrice del sogno e le quattro condizioni cui è sottoposta la formazione del sogno e le relazioni che intercorrono tra queste, devono essere studiate; e si deve assegnare al sogno un posto nel complesso della vita mentale» (pp. 511-512). Ecco qual è il problema e qual è il piano del capitolo. Freud comincia con l'analizzare quella caratteristica del sogno che consiste nel drammatizzare il pensiero. «Un pensiero, e in genere il pensiero di qualcosa che si desidera, è oggettivato nel sogno, è rappresentato come una scena, o, come ci sembra, è vissuto» (p. 512). «Come dobbiamo spiegare questa particolarità caratteristica del lavoro onirico, o, per porre la questione in termini più modesti, come dobbiamo trovarle un posto nel complesso dei processi psichici?» (p. 512). Prima ancora di rispondere alla domanda, anzi proprio per potervi rispondere, Freud esprime il fatto nel linguaggio della psicologia classica. «Se osserviamo la faccenda più da vicino, scopriremo che spiccano due elementi caratteristici, quasi indipendenti l'uno dall'altro, che influenzano la forma assunta dal sogno. L'uno è il fatto che il pensiero viene rappresentato come situazione immediata senza il "forse", e l'altro è il fatto che il pensiero viene trasformato in immagini visive e parole» (ibid.). Il secondo elemento caratteristico, che compare solo nei sogni, significa per Freud che «... il loro contenuto rappresentativo viene trasformato da pensieri in immagini sensorie» (p. 513). Dunque, spiegare la drammatizzazione nel sogno consisterà nel descrivere il meccanismo di tale trasformazione. Si può prevedere abbastanza facilmente il tenore generale di questa spiegazione. È evidente che, visto il modo in cui Freud formula il fatto, è in gioco lo schema della tradizione sensualista. Quello che è presente alla mente di Freud è dunque lo schema classico del lavoro psicologico che va dalla sensazione al pensiero. Esiste, dall'altra parte, la concezione realista del contenuto latente che ci mostra il lavoro del sogno che va dal pensiero del sogno alle immagini del contenuto manifesto. È dunque naturale che il sogno appaia a Freud come una regressione. Non rimane da far altro che articolare la concezione dell'apparato psichico in modo da render possibili la «progressione» e la «regressione». Per poter fare ciò, occorre a Freud una rappresentazione topografica, anche a costo di sollevare, più tardi, delle riserve sul grado di realtà che si conviene ad una simile rappresentazione. «Nel corso di una breve trattazione del tema dei sogni, il grande Fechner avanza l'idea che la scena di azione dei sogni è diversa da quella della vita rappresentativa della veglia ... Con queste parole ci si presenta l'idea di località psichica» (p. 514). «Immagineremo dunque l'apparato mentale come uno strumento composto, alle cui componenti daremo il nome di "istanze", o (per maggiore chiarezza) di "sistemi". Bisogna poi anticipare che questi sistemi sono forse in rapporti spaziali costanti l'uno con l'altro ... Sarebbe sufficiente stabilire un ordine fisso in modo che in un dato processo psichico l'eccitazione passi attraverso i sistemi in una particolare successione temporale ...» (p. 515). Come si può prevedere, per precisare l'idea interviene lo schema del riflesso. Freud lo dice molto chiaramente: «Tutta la nostra attività psichica ha origine dagli stimoli (sia interni che esterni) e termina in innervazioni. Quindi attribuiremo una estremità sensoria e una estremità motoria all'apparato ... I processi psichici avanzano in genere dall'estremità percettiva a quella motoria ... Ma questo non fa altro che soddisfare un'esigenza che ci è nota da tempo, cioè che l'apparato psichico si deve costruire come un apparato di riflesso. I processi di riflesso restano il modello di tutte le funzioni psichiche» (p. 515). I risultati delle analisi costringono ora Freud ad introdurre nuove differenziazioni nell'«apparato psichico». «Le supposizioni fatte finora riguardo alla costruzione dell'apparato psichico nella sua estremità sensoria, sono state fatte senza riferimento ai sogni o alle informazioni psicologiche che da essi abbiamo dedotto. Tuttavia le prove evidenti date dai sogni ci aiuteranno a comprendere un'altra parte dell'apparato» (p. 518). Quest'altra parte è l'estremità motoria. È la nozione di censura a costringere Freud ad introdurre una nuova differenziazione: il preconscio. Infatti, l'«istanza critica, abbiamo concluso, si trova in una relazione più stretta con la coscienza che l'istanza criticata: rappresenta uno schermo tra quest'ultima e la coscienza». E Freud si mette ora a collocare all'estremità motoria, per delle ragioni classiche, il conscio ed il preconscio. «Inoltre abbiamo trovato dei motivi che ci hanno permesso di identificare l'istanza critica con l'istanza che dirige la nostra vita da svegli e determina le nostre azioni volontarie, coscienti. Se, secondo le nostre supposizioni, sostituiremo queste istanze con dei sistemi, allora la nostra ultima conclusione ci deve portare a collocare il sistema critico all'estremità motoria dell'apparato ... Chiameremo "preconscio" l'ultimo sistema dell'estremità motoria, per indicare che i processi di eccitazione presenti in esso possono entrare nella coscienza ... Questo è nello stesso tempo il sistema che possiede la chiave del movimento volontario. Chiameremo il sistema che giace dietro di esso "inconscio", perché non ha accesso alla coscienza se non attraverso il preconscio, e durante questo passaggio il processo di eccitazione è costretto a subire delle modifiche» (pp. 518-519). La strada del pensiero di Freud è chiara. Egli introduce nell'apparato psichico la nozione di inconscio per potervi collocare il pensiero e l'ispirazione del sogno, e la nozione di preconscio per farne il luogo dell'attività della censura: deformazione ed elaborazione del sogno. Non siamo ancor arrivati alla spiegazione della regressione, e tuttavia è già perfettamente visibile l'astrattezza delle ipotesi freudiane, non solo nello schema fondamentale, ma anche nel modo in cui questo viene da Freud articolato. Se Freud colloca la censura vicino alla coscienza, è innanzitutto perché, come abbiamo detto più sopra, coscienza significa prima di tutto responsabilità. Altrimenti non si può capire la necessità di ammettere all'entrata della coscienza una censura che non è una semplice condizione rientrante nel campo della teoria della conoscenza, ma che è essenzialmente una selezione che viene effettuata non già con delle leggi che enunciano l'andamento di un processo automatico, bensì in conformità con dei principi che prendono in esame le forme dal punto di vista del loro significato. D'altra parte, se Freud colloca la coscienza stessa all'estremità motoria, non lo fa esclusivamente in virtù dello schema di cui si serve, ma essenzialmente per il motivo che «estremità motoria» significa azione ed è la coscienza a prendersene la responsabilità. In tal modo la costruzione freudiana, in fondo, significa: per il soggetto l'azione non è possibile se non in una forma confessabile. Nel preconscio, la responsabilità si trova alle prese con le forme, cioè con i significati delle azioni nascenti. Il termine azione va preso, beninteso, nel senso più largo della parola; allora esso significa un «fatto» del soggetto, qualunque esso sia. Considerando le cose da questo punto di vista, noi siamo, a rigore, sul piano della psicologia concreta. In realtà, Freud si esprime in un linguaggio che fa scomparire il concreto. Innanzitutto, non appena egli ha pronunciato, per i motivi che abbiamo poco fa indicato, la formula «estremità motoria», subito ed in maniera definitiva essa non significa altro, per lui, che «motilità»; non si tratta più dell'azione umana, individuale; la parola atto ha perso precisamente il suo significato drammatico ed umano, ed anche ogni significato in generale: per Freud, come per il fisiologo, non è più altro che un movimento, o, meglio, del movimento in generale, una nuova forma dell'eccitazione. Ci troviamo ora sul piano del «formalismo funzionale»: il termine eccitazione ritornerà senza sosta nel suo significato fisiologico, e senza la minima traccia di umanità. Freud, dimenticando sempre più che la sua teoria è vera soltanto nella misura in cui essa partecipa al concreto, nella misura in cui essa non riconosce altro, come fatto psicologico, che ciò che è un atto effettivo del singolo individuo, si sforza sempre più di spiegare le cose mediante un meccanismo che dovrebbe essere psicologico, ma che, di fatto, come tutti i meccanismi psicologici, gira a vuoto. «Chiameremo "preconscio" l'ultimo sistema dell'estremità motoria, per indicare che i processi di eccitazione presenti in esso possono entrare nella coscienza senza ulteriori impedimenti, purché siano soddisfatte certe condizioni: per esempio, che raggiungano un certo grado di intensità, che la funzione che chiamiamo "attenzione" sia distribuita in un modo particolare» (p. 519). E questo è il momento in cui egli fa altresì scomparire il carattere concreto della sua teoria della relatività della coscienza, per dare di essa una versione puramente meccanicista. «Chiameremo il sistema che giace dietro di esso "inconscio", perché non ha accesso alla coscienza se non attraverso il preconscio, e durante questo passaggio il processo di eccitazione è costretto a subire delle modifiche» (p. 519). Ê in questo linguaggio che Freud formula allora un'ultima volta il problema prima di risolverlo: «Possiamo spiegare ciò che succede nei segni allucinatori solo affermando che l'eccitazione si muove all'indietro. Invece di essere trasmessa verso l'estremità motoria dell'apparecchio, si muove verso l'estremità e alla fine raggiunge il sistema percettivo» (p. 520). Ma che spiegazione dare di questo fatto? Per la verità, Freud non lo spiega. «Non abbiamo fatto altro che dare un nome ad un fenomeno inspiegabile». L'unica cosa che egli ci dà sono delle intuizioni, interessantissime d'altronde per conoscere l'orientamento del suo pensiero. A tutta prima, Freud vedrebbe volentieri la spiegazione del «carattere allucinatorio» in un fatto puramente meccanico, per lo meno in apparenza, e cioè nello spostamento delle intensità psichiche. La sua idea rasenta allora la tesi secondo cui la differenza fra l'attuale, da un lato, ed il ricordo, dall'altro, dipende unicamente da una differenza di intensità: l'analisi ci fa vedere come le intensità psichiche si «spostino». Basterebbe allora che l'intensità psichica si sposti da una rappresentazione ad un'immagine sensoriale perché quest'ultima diventi allucinatoria. «Nel prendere in considerazione — dice Freud — il lavoro di condensazione dei sogni abbiamo supposto che l'intensità collegata alle rappresentazioni potesse essere trasferita dal lavoro onirico da una rappresentazione ad un'altra. Probabilmente è questa alterazione del normale procedimento psichico che rende possibile il percorso del sistema P (Percezione) nella direzione inversa, cominciando dai pensieri fino al culmine della piena vivacità sensoria». Qui non c'è una pura e semplice identificazione, nel vero senso della parola, fra l'attualità e l'intensità. La teoria freudiana, non avendo alla propria origine il problema classico della differenza fra la sensazione e l'immagine, non implica, in linea di principio, quella tesi, condannata persino dagli psicologi astratti, secondo cui l'immagine non è altro che una percezione debole e la percezione un'immagine forte. Freud attinge lo schema della propria teoria dalla constatazione volgare secondo cui i pensieri, per attirare la nostra attenzione, devono essere di un certo «interesse», e devono possedere, per dirla con la sua espressione preferita, una certa «energia d'occupazione». Si parlerà allora del «livello» psichico che le eccitazioni debbono raggiungere, o di una «soglia» che la loro intensità, anch'essa «psichica», deve oltrepassare, ma è sottinteso che questa intensità psichica non deve essere confusa con l'intensità fisiologica. Soltanto, Freud, ponendosi precisamente dal punto di vista formale, va a sfociare alla fine nella tesi di cui si è parlato. In conformità con l'astrazione, egli comincia con l'abbandonare il significato per conservare soltanto la rappresentazione. A partire da questo momento, la stessa intensità diventa qualcosa di formale: diventa una «quantità» collegata con una rappresentazione e, essendo perciò qualcosa di diverso dalla rappresentazione «nuda», essa diventa mobile. È proprio questa mobilità quella che spiega lo spostamento: l'intensità psichica può «passare» da una rappresentazione ad un'altra per dare ad essa una «energia d'occupazione» che può andare «fino al culmine della piena vivacità sensoria». Qualunque sia la soluzione del problema consistente nel sapere se Freud è ricaduto oppure no nella tesi di cui si è parlato, resta il fatto — ed è molto più importante — che anche Freud sostituisce un dramma impersonale al dramma concreto, e che, nella teoria dello spostamento, non si parla più dell'individuo concreto, ma soltanto delle evoluzioni, per così dire autonome, di quella proprietà (l'intensità) che la psicologia riconosce alle rappresentazioni. Freud finisce d'altronde col conferire alla parola «regressione» il suo significato completo, ma completo dal punto di vista sensualista. Il sogno rifa il cammino della conoscenza, che va dalle sensazioni ai pensieri. «Nella regressione la struttura dei pensieri del sogno viene dissolta nella sua materia prima» (p. 521). L'identificazione della regressione con il processo inverso a quello secondo cui, dal punto di vista dei sensualisti, il pensiero nasce dalle sensazioni, va così a chiudere il cerchio dell'astrazione: non esiste più, in questa tesi, alcuna traccia della definizione concreta del fatto psicologico e della necessità di ricollegare il sogno alla vita particolare dell'individuo. Una semplice dissoluzione del pensiero non è più, infatti, altro che un processo cieco, puramente meccanico, nel quale non è più possibile vedere la partecipazione dell'«io»; in poche parole, il processo in questione non può più essere un atto dell'individuo particolare. La dialettica associazionista ha portato Freud fin troppo lontano: in fondo al sogno si intravede un processo in generale. A Freud piace ripetere, alla maniera dei fisici, che le sue teorie non rappresentano altro che dei modi di dire comodi, e che egli è pronto ad abbandonarli per una rappresentazione più comoda. Egli potrebbe, certo, dire la stessa cosa delle teorie precedenti. Ma tali teorie sono «comode» proprio soltanto se si lavora facendo uso delle evidenze della psicologia classica e, in ogni caso, non può essere «comoda» nessuna espressione che orienti verso dei vicoli ciechi. Ora, questo è il caso delle espressioni di cui si parla. Infatti, essendo astratte, esse invitano soltanto ad edificare dei meccanismi «psichici» che, per quanto realisti, non sono per questo meno irreali. Infatti, allo «spostamento delle intensità psichiche» o alla «dissoluzione del pensiero» non è possibile riconoscere alcuna realtà psicologica, poiché tali processi sono dei processi alla terza persona, la spiegazione va «dalla cosa alla cosa», ed implica l'azione della rappresentazione, e persino l'azione della sua intensità, il che implica, a sua volta, il porre la rappresentazione o la sua intensità per se stessa, e, dal momento che solo l'azione del soggetto può essere reale, tali teorie sono psicologicamente impossibili. Freud commette dunque il classico errore: decompone l'atto del soggetto in più elementi i quali, tutti, si trovano al di sotto del livello dell'«io», e vuole in seguito ricostruire il personale con l'impersonale — o, se si preferisce, fa delle ipotesi di struttura, quando le ipotesi di struttura gli sono proibite, e le costruisce in conformità con lo schema realista, cioè proiettando nella «realtà interiore», nella sua forma generale, ciò che non può esser preso in considerazione se non per chiarire l'atto del soggetto. Freud potrebbe dire che questi sviluppi da lui portati non fanno affatto del sogno «qualche cosa in generale», dal momento che non fanno altro che rendere esplicite le «implicazioni» del sogno, e ciò senza alcun pregiudizio per l'atteggiamento concreto dell'interpretazione stessa. Ciò è perfettamente vero. Di fatto, la possibilità dell'interpretazione non implica affatto un'analisi della regressione. È possibile interpretare il sogno senza fare alcuna ipotesi sulla regressione: il sogno è un atto del soggetto e si tratta semplicemente di sapere che cosa significa. Ma il solo fatto di porre il problema della regressione implica già l'astrazione, dal momento che il problema non può essere posto se non si esamina il sogno servendosi delle categorie della psicologia classica, e, di conseguenza, se non ci si pone dal punto di vista del formalismo funzionale: soltanto allora l'illusione della realtà che si verifica nel sogno appare come una «regressione dalla rappresentazione alle immagini sensoriali». Il pensiero di Freud è animato non da necessità inerenti alla sua dottrina, bensì da contingenze puramente temporali. Egli deve combattere la teoria che vede nel sogno un'anomalia, facendo vedere come alla sua base vi siano dei processi regolari che ne fanno «un fatto psicologico nel pieno senso della parola»; il male è che egli si sente in dovere di dimostrare che tali processi possono essere spiegati mediante «le leggi ordinarie della psicologia», cioè mediante dei drammi impersonali. Viene così a crearsi un abisso fra l'atteggiamento pratico e l'atteggiamento teorico dello psicanalista. Lo psicanalista, infatti, fonda dei procedimenti veri su dei principi falsi, e traduce le sue scoperte feconde in schemi che sono perfettamente sterili. Così si spiega perché sia tanto grande la distanza che separa i fatti e le spiegazioni, e per quale motivo essa possa essere colmata solo con una grande ingegnosità. Viene così introdotta in seno alla psicanalisi una contraddizione interna che scoppia ad ogni istante. 4. Queste osservazioni possono essere illustrate molto bene con l'analisi delle spiegazioni complementari che Freud dà della regressione. Non esiste regressione durante il giorno. Allora «quale cambiamento rende possibile la regressione, che non si possa verificare durante il giorno? Dobbiamo accontentarci a questo punto solo di alcune congetture» (p. 521). Ma queste congetture sono perfettamente astratte. «Senza dubbio è questione di cambiamenti nella distribuzione dell'energia secondo i diversi sistemi, cambiamenti che aumentano o diminuiscono la facilità con cui tali sistemi possono essere percorsi dal processo di eccitazione». Tutto ciò è piuttosto enigmatico, ma fino alla fine del paragrafo non vedremo nulla che sia più chiaro. Freud lo sente, e lo fa notare: «Può essere che questa prima parte del nostro studio psicologico dei sogni ci lasci con un senso di insoddisfazione. Ma possiamo consolarci con la considerazione che siamo stati costretti ad aprirci il cammino nel buio. Se non abbiamo sbagliato completamente, altre linee di approccio ci porteranno nella stessa regione e allora verrà forse il momento in cui ci troveremo più a nostro agio in essa» (p. 526). Anche se si può dire, nonostante tutto, che la psicanalisi traspare persino in quel paragrafo, non è che per inabissarsi ancor più nell'astrazione. Anche Schemer aveva notato che «i sogni mostrano degli elementi visivi particolarmente vividi o particolarmente abbondanti» (p. 524). Ma per spiegarli, egli «suppone che ... ci sia uno stato di "eccitazione visiva", cioè di eccitazione interna dell'organo della vista». Freud non può andare anche lui così lontano, per lo meno senza dare una spiegazione. Infatti, qualunque sia la deferenza che egli mostra alla fine nei confronti dell'astrazione, esige comunque che essa sia sempre conciliabile con i risultati delle sue analisi. Ora, da queste risulta che la regressione non è una semplice disaggregazione «qualsiasi», come si potrebbe pensare tenendo conto delle precedenti formule di Freud, bensì che essa ha un orientamento determinato; che essa non è una pura e semplice «degradazione del pensiero», dovuta alla dissoluzione delle sue forme superiori, bensì che questa stessa degradazione è per così dire informata di un «significato» che ha una direzione determinata. «Si devono quindi distinguere tre tipi di regressione: a) regressione topografica, nel senso dell'immagine schematica dei sistemi che abbiamo spiegato sopra; b) regressione temporale, nella misura in cui si tratta di un ritorno alle antiche strutture psichiche; c) regressione formale, in cui primitivi metodi di espressione e rappresentazione prendono il posto di quelli abituali» (pp. 525-26). Ora, «se ricordiamo l'importanza delle esperienze infantili nei pensieri del sogno, se pensiamo alle fantasie basate su di esse, alla frequenza con cui parte di esse riappaiono nel contenuto del sogno e a quanto spesso i desideri del sogno stesso derivano da esse ...» (p. 523), e soprattutto se ci si ricorda che il bambino con i suoi impulsi continua a vivere nei sogni (p. 209), allora ci accorgiamo che «il sognare è nel complesso un esempio di regressione alla primissima situazione del sognatore, un rivivere della sua infanzia, degli impulsi istintivi che l'hanno dominata e dei metodi di espressione che allora gli erano disponibili» (p. 526). Si prova qui come un senso di sollievo: il termine regressione viene preso in un significativo vivente, ciò che viene qui constatato oltrepassa i limiti del giochetto allucinatorio. Non si tratta più del passaggio dall'idea all'immagine, e dal ricordo alla percezione allucinatoria, ma del risorgere di una forma anteriore della vita dell'individuo, con tutto ciò che implica la maniera di essere e di vivere in un certo modo, al di là di idee, immagini e al di là della percezione. Non si tratta più di sminuzzare l'atteggiamento degli elementi che stanno al di sotto del livello dell'«io», e che di conseguenza sono impersonali, ma del ritorno dell'«io» nella sua totalità ad una forma più antica, o, piuttosto, di fargli riprendere tale forma. Non si fa saltare la forma per dotare gli elementi di una vita indipendente di cui essi sono incapaci, ma la forma rimane in primo piano, e gli elementi giocano soltanto il ruolo di elementi nella messa in scena dell'atteggiamento, e la parte di «esploratori» (éclaireurs) nell'analisi. Disgraziatamente, una volta che l'astrazione riprende il sopravvento, il fatto che la regressione sia soprattutto la rinascita del bambino verrà utilizzato semplicemente per articolare la teoria meccanicista. E dal momento che ricerca nuovamente una ipotesi di struttura, Freud insisterà sul fatto che i ricordi visivi cercano di rinascere ed esercitano una specie di attrazione selettiva sul pensiero del sogno. Ora, i ricordi dell'infanzia sono delle impressioni vive, e proprio in quanto vive conservano sempre una vivacità sensoria. «Si sa inoltre che anche in quelle persone la cui memoria non è generalmente visiva, i primi ricordi dell'infanzia mantengono fino ad un'età avanzata la qualità di vivacità sensoria» (p. 523). I ricordi dell'infanzia che interessano lo psicanalista sono quelli che vengono rimossi. Ora, l'ingresso nella coscienza è proibito anche ai pensieri che sono ad essi legati. Allora, «i pensieri connessi con un ricordo di questo genere e la cui espressione è vietata dalla censura, sono in un certo senso attirati dal ricordo nella regressione, che è la forma di rappresentazione in cui il ricordo stesso si esprime» (p. 523). In tal modo, la regressione, «dovunque sia presente, è un effetto della resistenza che ostacola il progresso del pensiero nella coscienza lungo la via normale e contemporaneamente l'effetto dell'attrazione esercitata sul pensiero dalla presenza dei ricordi che possiedono grande forza sensoria» (p. 525). La regressione non è altro, allora, che una semplice «deviazione». Non si tratta più di dire che il soggetto ha, per così dire, rivissuto certi avvenimenti in una forma antica. Quello che agisce non è il soggetto, ma la rappresentazione che si è aperta una nuova strada verso la coscienza. Non c'è dunque da meravigliarsi che Freud, dopo aver indicato la teoria di Scherner, aggiunga: «Non c'è bisogno che confutiamo questa ipotesi, ma possiamo limitarci ad affermare che questo stato di eccitazione è applicabile solamente al sistema psichico percettivo dell'organo visivo; possiamo tuttavia rilevare ancora che lo stato di eccitazione è stato provocato da un ricordo, che è un rivivere di una eccitazione visiva che a suo tempo fu immediata» (p. 524). Scompare infine ogni speranza di veder riapparire il significato profondo della regressione; toccherà alla meccanica spiegare tutto. «Tutti e tre questi tipi di regressione sono in fondo una cosa sola e in genere si manifestano insieme; infatti ciò che è più antico nel tempo è più primitivo nella forma e nella topografia psichica si trova più vicino all'estremità percettiva» (p. 526). Il che conduce Freud alle sue infelici idee sul passato filogenetico. Dal momento che, come ha appena detto, «ciò che è più antico nel tempo è più primitivo nella forma», Freud non può fare a meno di mostrarci come all'origine della vita psicologica vi sia la «regressione allucinatoria». «È fuori dubbio che quell'apparecchio (psichico) ha raggiunto la sua perfezione attuale solo dopo un lungo periodo di sviluppo. Cerchiamo di riportarlo ad uno stadio anteriore» (p. 541). La prima struttura di questo apparato è quella di un apparato riflesso, «in modo che qualsiasi eccitazione sensoria che agiva su di esso, poteva essere prontamente scaricata lungo un percorso motorio. Ma le esigenze della vita interferiscono con questa semplice funzione e l'apparato deve ad esse l'impulso a svilupparsi ulteriormente. Le esigenze della vita lo avvicinano in primo luogo ai maggiori bisogni del corpo. Le eccitazioni prodotte dai bisogni interni cercano di scaricarsi con il movimento ... Un bimbo affamato urla o si agita sconsolatamente. Ma la situazione resta inalterata ... Un cambiamento si può produrre solo se in un modo o nell'altro ... si può ottenere una «esperienza di soddisfazione» che metta fine allo stimolo interno. Una componente essenziale di questa esperienza di soddisfazione è una particolare percezione (nel nostro esempio quella del nutrimento), la cui immagine resta da quel momento associata nella memoria con la traccia di ricordo dell'eccitazione prodotta dal bisogno. La conseguenza del legame così stabilito è che, quando questo bisogno sorge di nuovo, un impulso psichico emerge immediatamente e cerca di rioccupare l'immagine della percezione nella memoria e rievocare la percezione stessa, cioè ristabilire la situazione della soddisfazione originaria. Un impulso di questo tipo è quello che chiamiamo un desiderio; la ricomparsa della percezione è l'adempimento del desiderio ...» (ibid.). Ora, il cammino più breve verso l'adempimento del desiderio è costituito appunto da quell'evocazione allucinatoria meccanica, nel momento dell'apparizione del desiderio, dell'immagine della percezione soddisfacente. «Nulla ci impedisce di pensare che ci sia stato veramente uno stato primitivo dell'apparato psichico in cui questo cammino veniva realmente percorso, cioè in cui il desiderio diventava allucinazione» (ibid.). E si intravede come «l'adattamento alla vita» necessiti ancora di ulteriori trasformazioni, dato il carattere transitorio della soddisfazione allucinatoria. Sarà necessario, da allora, sbarrare la strada all'allucinazione ed ottenere, per far deviare l'eccitazione, «un impiego più efficiente della forza psichica», cioè il mantenimento dall'esterno dell'eccitazione soddisfacente. Ma, allora, «tutta la complicata attività di pensiero che si estende dall'immagine di memoria al momento in cui l'identità percettiva viene stabilita dal mondo esterno, costituisce semplicemente un cammino indiretto verso la realizzazione di desiderio che è stato reso necessario dall'esperienza» (p. 542). L'orientamento biologico dello schema freudiano appare molto nettamente: in principio fu il desiderio, che nasce dal bisogno organico. Subito interviene un principio classico, che lo si chiami principio di economia o principio di piacere: il desiderio cerca, con l'allucinazione, la sua realizzazione immediata. Ed è così che in principio furono il desiderio e l'allucinazione. «Ciò che una volta dominava la vita della veglia, quando la mente era ancora giovane e incompetente, sembra ora esiliato nella vita notturna, come le armi primitive, l'arco e le freccie, che sono state abbandonate dagli adulti, ma che tornano di nuovo nella stanza dei bambini. Il sognare è una parte della vita psichica infantile che è stata accantonata» (p. 543). Per quanto queste ultime formule siano analoghe a quelle nelle quali, poco fa, abbiamo dovuto riconoscere la presenza dell'ispirazione della psicologia concreta, non bisogna credere che esse significhino la stessa cosa; infatti tutti gli sviluppi precedenti non fanno altro che dare ad esse un significato astratto. La reviviscenza dell'infanzia significava, prima, la reviviscenza di certi determinati atteggiamenti che caratterizzano l'infanzia, la reviviscenza cioè di un atteggiamento «in forma umana» che l'individuo aveva avuto effettivamente nella sua infanzia e che ricompare nei suoi sogni con una messa in scena ispirata alla vita presente. Ma ora che Freud ci ha fatto conoscere i rudimenti dell'«apparato psichico», la stessa formula significa il risorgere di un meccanismo che non ha più alcuna «forma umana», il risorgere di un «processo» che non interessa più il soggetto, ma soltanto l'andamento delle rappresentazioni e delle eccitazioni. È appena il caso di aggiungere che, dal punto di vista della psicologia concreta, le intuizioni di Freud (infatti egli non vuole che si prendano per delle spiegazioni) sono ancora una volta incomprensibili, per lo meno se si prendono alla lettera e se si realizzano, anche per poco, i meccanismi che egli introduce. Che cosa può significare, innanzitutto, questa attrazione esercitata dai ricordi dell'infanzia? È veramente comodo dire sempre: le ipotesi sono solo dei modi di dire, oppure «hypotheses non fingo» e, continuando a sostenere contro la critica questo punto di vista, comportarsi e scrivere come se si prendessero sul serio le proprie ipotesi. Tutto ciò, d'altronde, rappresenta solo una precauzione oratoria. Se non si avesse intenzione di prendere sul serio le proprie ipotesi, non si farebbero neppure. Dal momento che non è possibile dotare i fatti psicologici di un'efficacia diversa da quella che proviene loro dal soggetto, occorre che essi possano apparire come le forme dell'azione del soggetto. Ma invano si cercherà un atto individuale che possa corrispondere a quell'attrazione di cui ci parla Freud; è impossibile formularla in prima persona. Come succede per la descrizione del meccanismo della regressione, essa non lascia in nessun momento un posto all'intervento dell'«io»: il meccanismo funziona dunque a vuoto. D'altronde, tutta una serie di formazioni, che Freud ammette nelle sue spiegazioni riguardanti l'elaborazione del sogno, presentano questo inconveniente di essere psicologicamente vuote. Sono le costellazioni preliminari alla formazione del sogno (cfr. soprattutto pp. 566-568). Dal momento che Freud parte da una concezione realista del contenuto latente, è naturale vedergli affermare che le elaborazioni di pensiero più complicate sono possibili senza l'assistenza della coscienza (p. 566) e che, «se una serie di pensieri è inizialmente rifiutata (forse coscientemente) da un giudizio che la considera errata o inutile per gli immediati scopi intellettuali, essa può continuare ad avanzare, non osservata dalla coscienza, fino all'inizio del sonno ... diciamo che un simile processo di pensiero è "preconscio"» (p. 567). Abbiamo così nel preconscio un «gruppo di pensieri abbandonato a se stesso» (p. 568), poiché non solo non è occupato dalla coscienza, ma è, per di più, abbandonato dall'occupazione preconscia. È vero che i desideri inconsci possono impadronirsi di questi pensieri, ma la questione è di sapere in qual modo essi possano essere psicologicamente reali, dal momento che tale occupazione da parte dei desideri inconsci non ha ancora avuto luogo. Freud risponde semplicemente che coscienza e fatto psicologico non sono sinonimi, ed aggiunge, inoltre, che il vecchio postulato dell'unità dell'anima o della coscienza viene smentito dai fatti. Ma non è questo il problema. Bisogna spiegare se questi pensieri abbandonati a se stessi sono ancora oppure no degli atti dell'«io». Ma ciò è impossibile. Qui in particolar modo viene rotta la continuità dell'«io», poiché quelle costellazioni preliminari non sono altro che dei pensieri fluttuanti, e basta osservare il linguaggio di Freud per vedere come essi siano dotati di una specie di autonomia. Ma, in tal caso, essi non possono essere psicologicamente reali. 5. Le stesse osservazioni ci vengono suggerite dalla storia della successiva differenziazione dell'apparato psichico e dal postulato secondo cui «in principio fu il desiderio». Se è vero che le nozioni in terza persona non prendono per sé tutta l'efficacia, è altrettanto vero che ci troviamo in una regione perfettamente astratta. Il processo che alla fine spiega il sogno non è più suscettibile di essere qualificato individualmente, tanto che Freud merita qui un rimprovero, che è esattamente lo stesso che egli ha l'abitudine di rivolgere agli altri. Il termine della spiegazione è rappresentato da nozioni generali, come i bisogni biologici dell'organismo, l'adattamento alla vita. In breve, la teoria non è di ispirazione psicanalitica perché, invece di farci fare dei progressi nella conoscenza dell'individuo concreto, ci riporta, per esempio, alla biologia. E, ancora, ci muoviamo sempre più in un campo in cui rappresentazioni, eccitazioni ed energie evolvono con una sorta di sovranità, come se il tutto non dovesse costituire un'azione individuale. In poche parole, penetriamo sempre più nella vita interiore, biologica, persino fisiologica, ma, proprio per questo, penetriamo in una regione che è psicologicamente cieca. È allora che troviamo quelle formule infelici che si spiegano soltanto grazie alla debolezza verso il bisogno di spiegazione, e grazie al fatto che, là dove la spiegazione non è per nulla indicata dai fatti, si fanno intervenire nozioni nelle quali, come in un mito eroico, è stato messo tutto il nostro entusiasmo. «... Un maggiore interesse teorico — dice Freud — ci ricollega ai sogni che riescono a svegliarci in pieno sonno. Possiamo chiederci perché un sogno, cioè un desiderio inconscio, abbia il potere di interferire nel sonno, cioè nella realizzazione del desiderio preconscio. La spiegazione si trova senza dubbio nei rapporti di energia che noi non conosciamo. Se possedessimo tale conoscenza, scopriremmo probabilmente che il conceder via libera al sogno, dedicandogli una determinata misura di attenzione più o meno distaccata, rappresenta una economia di energia in confronto al mantenere l'inconscio sotto stretto controllo sia di notte che di giorno» (p. 552)». «La presa di coscienza dipende dall'orientamento di una certa funzione psichica, l'attenzione, che pare possa essere dispensata soltanto in date quantità». «Crediamo che una certa quantità di eccitazione, che noi chiamiamo energia di occupazione, parta da una rappresentazione di scopo e segua le vie associative che quest'ultima ha scelto. Tale occupazione non è mai stata concessa ai pensieri abbandonati, trascurati; è stata ritirata dai pensieri soffocati, scacciati; sia gli uni che gli altri vengono abbandonati alle proprie eccitazioni». Tutte queste formule significano certamente qualcosa, dal momento che Freud manovra in conformità con i dati che gli vengono forniti dall'analisi. Sarebbe anche possibile tradurre la maggior parte di queste affermazioni in un linguaggio più concreto. Ma, comunque sia, continuando a compiere evoluzioni in mezzo a queste nozioni, noi ci troviamo lontani tanto dal «significato» che dal fatto psicologico inteso come «segmento della vita individuale concreta». 6. Il modo in cui Freud spiega la rimozione ci permetterà di capire in che modo egli approfondisce le sue costruzioni teoriche. Allo stesso modo della regressione, la rimozione è un processo primitivo dell'apparato psichico, e lo si spiega, in ultima analisi, col grande principio della ricerca del piacere e dello sfuggire ciò che è sgradevole. All'inizio, la rimozione non ha nulla di intenzionale e non ha nulla a che vedere con la responsabilità: consiste nel funzionamento di un puro e semplice meccanismo biologico. «Tutti gli altri processi nei sistemi P, compreso il Prec., mancano di qualità psichiche e quindi non possono essere oggetto della coscienza, se non nella misura in cui portano piacere o dispiacere alla percezione. Dobbiamo quindi concludere che queste scariche di piacere e dispiacere regolano automaticamente il corso dei processi di occupazione» (p. 549). «Abbiamo sostenuto — aggiunge Freud più lontano — che solo un desiderio è capace di mettere in moto l'apparato e che il corso dell'eccitazione è automaticamente regolato dalle sensazioni di piacere e dispiacere» (p. 572). Ora, nel momento che noi prendiamo in considerazione, la via naturale ed immediata è costituita dalla regressione allucinatoria. Ma dal momento che la regressione è sterile, deve intervenire «un secondo sistema» per trasformare l'energia allucinatoria sterile in energia utile, che produca cioè soddisfazione. Si può fare qui, se si vuole, un paragone con Bergson. Esiste nell'uomo una tendenza a sprofondare nel sogno; e ne viene strappato dalla necessità di adattarsi alla vita. Questa idea è comune a Bergson e a Freud; ma è anche comune a tutta un'epoca. Solo che Freud trasforma tale necessità in un «sistema dell'apparato psichico» per poterlo utilizzare in seguito nella spiegazione della rimozione. Questo arresto, ad opera del preconscio, delle eccitazioni provenienti dall'inconscio in vista dell'adattamento, non costituisce d'altronde l'immagine della vera rimozione. Nella semplice fuga dinanzi al ricordo, la causa della rimozione consiste nel dispiacere di cui l'esperienza carica un ricordo. Allora non c'è più desiderio. È per questo fatto che la fuga dinanzi al ricordo non è la vera rimozione. La vera rimozione è quella in cui esiste una «trasformazione di affetti», poiché, anche se all'inizio la soddisfazione di un desiderio provoca il piacere, esistono ora dei desideri la cui soddisfazione non può essere altro che sgradevole. Soltanto che la causa di questa rimozione non è più semplicemente il dispiacere in quanto tale, ma un dispiacere di un livello più elevato. Essa dipende, infatti, da un giudizio del preconscio (p. 576 ss.). «Il problema della repressione consiste nel chiedersi come e per quali forze motrici avvenga questa trasformazione; ma è un problema che qui basta solo sfiorare. È sufficiente per noi chiarire che una trasformazione di questo tipo avviene nel corso dello sviluppo (basta ricordare il modo in cui compare il disgusto nell'infanzia, pur essendo mancato al principio) e che si riferisce all'attività del sistema secondario» (p. 577). Questa spiegazione è la dimostrazione di come Freud si sia rivolto, anche questa volta, agli schemi in terza persona. Ed è evidente come la spiegazione ideale cui egli vuole avvicinarsi consisterebbe nello spiegare tutto alla maniera «energetista», cioè attraverso spostamenti di intensità, trasformazioni di energie, innalzamenti e cadute di livello, carichi e scarichi di occupazione, attraverso i diversi aggiustamenti delle diverse correnti di eccitazione. In fin dei conti, Freud è riuscito, certo con molta ingegnosità, a rifare in senso inverso il cammino che egli ha percorso nei capitoli precedenti della Traumdeutung. Non si tratta solo di una metafora. In pieno accordo con le tradizioni cui egli si ricollega, in Freud è nettamente presente il sogno della sintesi. Ogni tanto egli vi allude, come quando dice che l'analisi del sogno dovrebbe essere accompagnata dalla sua sintesi. Questa sarebbe, infatti, la grande verifica. Si sente altresì, nel capitolo sulla Psicologia dei processi del sogno, che se egli fa riferimento alle ipotesi lo fa soltanto nella speranza di ritrovare, partendo da esse, i fatti da cui è partito. Disgraziatamente, egli sfiora appena la psicologia «deduttiva». Se avesse tentato seriamente la «dialettica discendente», avrebbe visto che non è mai possibile trarre dalle proprie ipotesi i fatti sui quali esse sono basate, poiché i meccanismi che egli ci descrive hanno tutti i difetti dei meccanismi della psicologia classica: non sono suscettibili di determinare ciò che è individuale, ma soltanto ciò che è generale. Comunque sia, una volta terminata la Psicologia dei processi del sogno, tutto è rientrato nello «psichico», tutto è divenuto gioco di eccitazione e di rappresentazione: Freud è riuscito a costruire un edificio nel gusto della psicologia classica. Egli non è certo d'accordo con questa psicologia su tutti i punti. Infatti, avendo fatto delle scoperte, gli è giocoforza ampliare gli orizzonti classici. È così che è stato costretto a supporre un insieme di processi che stanno alla base del sogno, e che non è possibile attribuire alla coscienza. Ora, attribuendole ad istanze diverse, le formazioni psicologiche si trovano già compiute prima che si sia fatta intervenire la coscienza. Ma allora, che cosa rimane per questa? Avendo già spiegato tutto mediante quei processi nei quali in nessun momento si è stati costretti a far intervenire la coscienza, il fatto di diventare cosciente non può più essere altro, per Freud, che una semplice qualità. «Ma quale ruolo svolgerà nel nostro schema la coscienza, che una volta era così onnipotente e nascondeva tutto il resto? Solo quello di un organo sensorio per la percezione di qualità psichiche» (p. 586). L'analogia viene spinta fino in fondo. «Sappiamo che la percezione dei nostri organi sensori ha l'effetto di dirigere una catessi di attenzione verso le vie lungo le quali si sta diffondendo l'eccitazione sensoria; l'eccitazione qualitativa del sistema percettivo regola la scarica della quantità mobile nell'apparato psichico. Possiamo attribuire la stessa funzione all'organo sensorio sovrapposto al sistema C. Con la percezione di nuove qualità, esso contribuisce nuovamente a dirigere le quantità mobili di catessi e a distribuirle in maniera conveniente» (p. 587). 7. Da queste spiegazioni nasce un mondo nuovo: l'universo dello «psichico». Esso ha, certamente, una forma di esistenza diversa da quella del mondo esterno, ma cionondimeno è reale ed esterno alla coscienza. Come la percezione sensibile ci rivela il mondo esterno della materia, così la percezione superiore della coscienza ci rivela il mondo esterno dello psichico. Ma come i sensi sono in numero limitato, così la coscienza dispone solo di pochi «ricettori». Infatti «tutti gli altri processi nei sistemi compreso il Prec., mancano di qualità psichiche e quindi non possono essere oggetto della coscienza, se non nella misura in cui portano piacere o dispiacere alla percezione» (p. 549). Ma ciò è valido solo per il pensiero, poiché la coscienza ha tutto ciò che occorre per ricevere le sensazioni. «Ma per fare degli adattamenti più delicati si è in seguito reso necessario fare in modo che il corso delle rappresentazioni fosse più indipendente dalla presenza o assenza di dispiacere. A questo scopo era necessario che il sistema Prec. avesse delle qualità proprie che potessero attirare la coscienza; e sembra molto probabile che le abbia acquistate collegando i processi preconsci con il sistema di ricordi dei simboli linguistici, sistema non privo di qualità. Mediante le qualità di quel sistema, la coscienza che fino allora era stata solo un organo sensorio delle percezioni, divenne anche organo sensorio per una parte dei nostri processi di pensiero. Ora quindi ci sono, per così dire, due superfici sensorie, una diretta verso la percezione, l'altra verso i processi di pensiero preconsci» (pp. 549-550) Ecco in qual modo esiste tutto un mondo psichico con un suo divenire, dei «processi» sui generis, dei quali la coscienza percepisce solo poche cose. Ed ecco perché, per Freud, la psicologia ci porta ad una metapsicologia, allo stesso modo in cui l'approfondimento del problema della percezione in una certa direzione conduce alla metafisica. Ed ecco inoltre l'apparato psichico, ingegnoso e straordinario. Ma esso ha un difetto: è condannato all'inerzia. Abbiamo dinanzi a noi una successione di sistemi o una successione di processi impersonali, di processi alla terza persona: desideri inconsci, elaborazioni preconsce, percezione selettiva ad opera della coscienza: spostamenti d'intensità e cambiamenti di occupazione ... Sarebbe una cosa positiva se il sistema potesse funzionare. Ora, ciò potrebbe accadere soltanto se ci fosse, per usare un termine di paragone caro a Freud, un microscopio. La luce metterebbe in marcia i diversi sistemi. È il desiderio che deve svolgere questo ruolo nell'apparato psichico. Ma l'apparato psichico non è un sistema materiale; se è un apparato, è precisamente un apparato psichico. Perché esso possa funzionare, gli occorre l'atto dell'«io», ma è proprio questo atto ad essere escluso dal sistema freudiano. Infatti, i desideri inconsci nascono e si sviluppano, si collegano alle formazioni preconscie, la coscienza li percepisce, però mai, in nessun momento, interviene un'attività in prima persona, un atto che abbia una forma umana e che implichi l'«io». Si potrebbe dire che l'atto dell'«io» è dato appunto dal desiderio. Ma resta il fatto che questo desiderio è sottoposto a delle trasformazioni che non sono più degli atti dell'«io». Ad ogni modo, i sistemi troppo autonomi rompono la continuità dell'«io», e la sua attività viene esclusa dall'automatismo dei processi di trasformazione e di elaborazione. E tuttavia, nonostante queste critiche che rendono le costruzioni freudiane inaccettabili per la psicologia concreta, il capitolo sulla Psicologia dei processi del sogno contiene qualcosa di assai significativo. Non alludiamo alle modificazioni che Freud fa subire alle nozioni classiche che egli introduce nelle sue costruzioni. Ma occorre notare che Freud oltrepassa di molto, qualunque sia il suo linguaggio, la psicologia classica. Questa, quando si tratta dei «processi mentali», non conosce altro, da un lato, che l'associazione delle idee e la sua critica, e, dall'altro lato, ciò che la logica ci insegna sulle funzioni intellettuali. Se a ciò si aggiungono gli schemi «fluidi», che sono ora di moda, avremo fatto l'inventario di tutti i «processi mentali» che la psicologia riconosce. È Freud che, per la prima volta, ha cercato di introdurre qualcosa di nuovo e di preciso in questo campo. Egli scopre un certo numero di processi nuovi che, qualunque sia il linguaggio in cui si esprime, hanno un significato reale, e con la regressione, lo spostamento, la condensazione, la psicologia, per la prima volta, esce per lo meno dai luoghi comuni dell'associazionismo, della logica e delle professioni di fede del dinamismo. Dopo aver reso giustizia di ciò a Freud, non vi è alcuna ragione di nascondersi che le sue costruzioni teoriche, quali esse si presentano oggi, sono appunto incompatibili con quella psicologia concreta di cui egli avrebbe dovuto essere il fondatore. Soltanto, la dimostrazione di questo eterno conflitto fra l'ispirazione fondamentale e la sovrastruttura teorica, che caratterizza la psicanalisi del giorno d'oggi, è una cosa del tutto diversa dal volgare rimprovero di intellettualismo. Infatti il problema che viene posto dagli errori di Freud va oltre le liti domestiche della psicologia classica, ed i procedimenti che sono alla base delle teorie freudiane non sono semplicemente dei procedimenti intellettualistici: sono comuni a tutto un orientamento della psicologia, al quale appartengono tanto gli intellettualisti che i loro avversari. Ecco perché nelle analisi che precedono non bisogna vedere il censimento degli errori personali di Freud. Ciò significherebbe limitare arbitrariamente la portata delle nostre conclusioni e perdere il beneficio dell'insegnamento che scaturisce precisamente da quelle speculazioni freudiane che noi giudichiamo errate. Questi errori, infatti, nascono da una necessità che oltrepassa l'ordine di grandezza delle deficienze individuali. Il tentativo teorico di Freud era inevitabile, era il primo che si imponeva dopo la scoperta del punto di vista concreto. E, d'altra parte, era necessario, per la comprensione stessa dell'essenza della psicologia classica, che i procedimenti di quest'ultima venissero applicati a dei fatti che, scaturiti da un atteggiamento diametralmente opposto, non offrono ad essi più alcuna presa. Infatti, essendo puramente verbale la riduzione dei fatti concreti alle teorie astratte, non si può far altro che enumerare gli schemi e le esigenze classiche il cui elenco viene così dato in pasto alla critica. Si può tuttavia avere il dubbio che noi seppelliamo troppo in fretta le teorie psicanalitiche cercando in esse nulla di più che un insegnamento puramente negativo, e che, da questo punto di vista, le nostre affermazioni non trovino un sufficiente sostegno nel capitolo che precede. Infatti tutto ciò che abbiamo fatto finora non è altro che dimostrare il contrasto esistente fra il concreto e l'astratto nelle teorie che abbiamo preso in esame, ma, qualunque sia il risultato di questa contrapposizione, è incontestabile che i fatti scoperti da Freud esigono una spiegazione psicologica. Ora, se ci poniamo da questo punto di vista, non possiamo nasconderci che tutti questi fatti ci orientano in direzione dell'inconscio. Allora una delle due: o ci si inchina dinanzi ai fatti per ammettere l'inconscio, ed allora le critiche precedenti si riferiscono soltanto più alle formule e non alle teorie, ed essendo relative solo allo «stile» perdono ogni loro interesse; oppure si pretende di dire che le critiche in questione toccano il fondo stesso del problema, e non soltanto la forma, ed allora bisogna andare fino in fondo e negare l'inconscio, ma altresì, insieme ad esso, quei fatti psicanalitici che ne provano l'esistenza: cosa che ci priverebbe del beneficio di tutto ciò che abbiamo detto della psicologia concreta e, di conseguenza, del diritto ad ogni critica. Ci troviamo qui di fronte, insomma, a un dilemma la cui chiave è costituita dall'idea che ci si fa dei rapporti esistenti fra l'inconscio e la psicanalisi, e che esprime l'inquietudine creata dalle nostre osservazioni. Questa inquietudine non resiste ad un'attenta lettura di questo stesso capitolo ed il dilemma si presenta essenzialmente fragile, ma la gravità del problema esige una franca spiegazione.
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